Prendetevi 6 minuti di tempo per riflettere e godere di un filmato che fa riflettere
Negli ultimi tempi i cortometraggi, spesso sotto forma di cartone animato, sono un modo efficace e d’impatto per farci arrivare messaggi anche complessi in un modo emotivamente riflessivo.
A tal proposito mi sono imbattuta recentemente in un corto che tutti dovremmo guardare e prenderci il tempo e una pausa di 6 minuti per riflettere su qualcosa di importante.
La storia racconta di Dechen un monaco “in formazione” con la passione per il giardinaggio. Durante una notte tempestosa sceglie di prendere dal giardino il suo fiore preferito per portarlo al riparo dalle intemperie al caldo della sua stanza.
Tuttavia, nonostante le sue preoccupazioni e le sue attenzioni il fiore comincia a perire e il povero ragazzo soffre cercando di accettare la situazione.
Interviene poi un secondo monaco, guida del giovane, per insegnarli qualcosa che nella vita, non solo del fiore, sarà davvero centrale; Dechen trova il modo di salvare se stesso e la piccola pianta quando impara che la necessità di controllo è stato il vero veleno per la pianta.
Nella società moderna esercitare il controllo è un must, qualcosa da rincorrere, esistono manuali per qualsiasi necessità, prêt-à-porter e selfhelp per venire fuori da qualsiasi situazione che non ci piace.
Penso, pianifico, controllo, eseguo.
E cosi avanti.
Ma ci sono cose che non possono rispondere a questa sequenza.
Fiori, emozioni, partner, figli o qualsiasi altro evento che per definizione non sarà mai controllabile al 100% dal nostro volere o potere, per impossibilità stessa della cosa. Ma che anzi, si indebolisce quando tale tentativo diventa totalizzante e indispensabile. Seppur, ovviamente, mosso dai migliori intenti di protezione e benessere, sia chiaro.
Non siamo, fortunatamente, onnipotenti.
Nel corto scelto si evidenzia chiaramente cosa succede se cerchiamo di smettere di controllare. Il piccolo fiore torna a vivere proprio perché esposto alle intemperie che non significa necessariamente essere esposto a qualcosa di nocivo seppur negativo.
Proviamo a pensare a cosa possa voler dire per noi ogni tentativo di controllo che facciamo sui nostri pensieri o sulle nostre emozioni.
Non volerne, negarle, rinchiuderle, soffocarle, non ottiene quasi mai la direzione sperata.
Tanto più se al posto del fiore mettiamo un progetto di vita, un sentimento, un figlio o un partner.
Non significa in alcun modo lasciare la pianta (o nostro figlio) senza tutele nel mondo, né non fare nulla per il nostro stato d’animo per farci stare meglio, ovviamente. Ma significa lasciare libero di essere, di andare, di accadere.
Significa eliminare quella smania che spesso non siamo consapevoli di avere, di voler che le cose vadano esattamente come pianificate. Che pensando, preoccupandoci si eviterà qualcosa di brutto. Ma delle volte è l’incidente che crea l’opportunità.
E non parlo di un caso che significhi caos, ma neppure causa, ma di lasciare che le cose siano quello che sono, in modo libero e consapevole.
Parlo della flessibilità come altra faccia della rigidità.
Parlo di questo per non cadere nella paura dell’incertezza. La paura che immobilizza le scelte, congela l’azione e impedisce lo scorrere delle cose e crea problemi di ansia per esempio.
Smettere di esercitare il controllo sui pensieri ci libera dalla trappola di questi, smettere di anticipare catastrofi che spesso non avverranno, arricchisce le nostre esperienze che sono davvero la fonte di insegnamenti profondi.
Il controllo della relazione, il monitoraggio continuo di questa e i tentativi di non volerla mai esposta alle intemperie, la rende debole proprio come il fiore del video.
Oppure ancora la capacità di lasciare il controllo sul cammino dei figli porgendo la mano quando cadono ma non tracciandone la strada su passi stabiliti è quello che darà la possibilità di prendere scelte libere e consapevoli a lui sulla base delle proprie passioni e capacità.
È l’affanno di fare qualcosa, di farlo per bene, dettato dalla paura che qualcosa di brutto sia sinonimo di nocivo, che rende gli avvenimenti denaturati, e di conseguenza, la maggior parte delle volte, più ostili o complessi.
Proprio come la pianta che al calduccio delle premure del piccolo Dechen perdeva forza anziché trovarla.
La psicoterapia è un valido aiuto soprattutto per imparare a conoscere se stessi e quali sono le proprie dinamiche disfunzionali dettate dal bisogno di controllo e di prevenire.
Anche interventi basati sulla Mindfulness o sull’ACT (acceptance and commitment therapy) aiutano a maturare un atteggiamento volto alla capacità di lasciar scorrere, lasciar essere, lasciar andare, insegnando a stare nelle cose per come sono senza la frenesia del manomettere per renderle come dovrebbero, vorremmo, che fossero.
Elena Mannelli