Qual è la terapia giusta per i disturbi emotivi? I farmaci sono risolutivi ? Ma poi questi farmaci fanno male? E la psicoterapia cos’è? Se faccio psicoterapia posso non assumere farmaci?
Queste sono le domande più frequenti che le persone si pongono di fronte alla decisione di affrontare il proprio disagio psichico e conseguentemente alla decisione di curarsi.
Per capire quali sono i percorsi di cura dobbiamo partire da cosa intendiamo per disturbi psichici.
L’approccio attuale considera le malattie psichiatriche secondo il concetto di multidimensionalità e cioè le colloca all’interno di un “modello biopsicosociale” che vede come base, causa e occasione della sofferenza psichica la profonda interazione tra fattori genetici, organici, psicologici, sociali e culturali.
Da qui l’utilità di associare farmacoterapia e psicoterapia partendo dall’evidenza clinica che in alcuni casi il trattamento combinato risulta più efficace di ciascuna delle due modalità terapeutiche usate singolarmente. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che disturbi mentali sono delle patologie con diversa gravità, sintomatologia, decorso e prognosi e come tali devono essere trattati.
Ma perché assumere psicofarmaci?
L’azione degli psicofarmaci è quella di ristabilire un equilibrio laddove un processo patologico ha prodotto un danno ripristinando le condizioni preesistenti alla malattia.
Ancora oggi però si riscontrano sfiducia e timore nei confronti di una prescrizione psicofarmacologica.
I pregiudizi più diffusi rispetto all’ assunzione di psicofarmaci riguardano:
• la paura che gli psicofarmaci possano causare gravi e pericolosi effetti collaterali;
• il timore di uno stato di dipendenza;
• la convinzione che gli psicofarmaci modifichino, artificialmente e in modo permanente, comportamenti, pensieri ed emozioni;
• il considerare i disturbi mentali come condizioni esistenziali estreme, momenti transitori di sofferenza che vanno affrontati con le proprie risorse psichiche, utilizzando volontà, coraggio e “forza d’animo”.
Per contrastare questi pregiudizi è importante sottolineare che:
• gli psicofarmaci devono essere assunti sotto controllo medico, non con un metodo “fai-da-te” che tiene in conto i pareri degli amici, seppur fidati e con le migliori intenzioni;
• è lo psichiatra che individua il farmaco più adatto in termini di effetti terapeutici e informa il paziente sui possibili effetti collaterali che spesso sono transitori o comunque tollerabili in virtù del beneficio ottenuto dal farmaco stesso;
• la dipendenza da psicofarmaci è accertata soltanto per alcune categorie (le benzodiazepine) e solo nel caso in cui l’assunzione avvenga in modo prolungato e senza il diretto controllo medico;
• l’eventuale interruzione della terapia non causerà sintomi da sospensione se attuata in modo graduale e programmato.
Lo specialista psichiatra non si limita però solo ad una prescrizione farmacologica ma considera i numerosi fattori psicologici che possono favorire o impedire il buon esito della terapia stessa, quali:
• la personalità del paziente;
• la sue aspettative;
• le sue paure;
Queste infatti possono influire in modo determinante anche in una semplice cura farmacologica.
La durata del trattamento ed il tipo di risposta agli psicofarmaci (dal lieve miglioramento alla completa remissione dei sintomi), dipendono da una serie di fattori come: l’età, il sesso, il peso corporeo, la dieta, l’essere o meno fumatore, dalla presenza/assenza di patologie e di altri trattamenti farmacologici.
Esistono quattro grandi gruppi di psicofarmaci:
Ansiolitici;
Antidepressivi;
Antipsicotici;
Stabilizzanti dell’umore.
Gli ansiolitici
Appartengono a questo gruppo i farmaci (tranquillanti ed ipnotici) efficaci nel trattamento dei disturbi d’ansia. Questi farmaci, di solito, hanno effetto nel breve termine ma assai meno nel lungo termine; talvolta, come conseguenza del loro uso si può avere un peggioramento della sintomatologia (il cosiddetto effetto rebound) e lo svilupparsi di una certa dipendenza. Anche in considerazione di questi effetti, gli ansiolitici dovrebbero essere prescritti soltanto nei casi di ansia o insonnia grave e comunque per periodi brevi.
Gli antidepressivi
Appartengono a questo gruppo, i farmaci efficaci nel migliorare l’umore negativo e gli altri sintomi tipici della depressione e perciò detti antidepressivi. Esistono tre sottogruppi di antidepressivi: gli inibitori delle mono-amminossidasi (IMAO), i triciclici e gli inibitori selettivi del recupero della serotonina (ISRS).
Questi farmaci sono generalmente efficaci, ma possono indurre effetti collaterali, che però tendono a scomparire nel corso del trattamento. Generalmente, il rischio di effetti collaterali si può ridurre, cominciando il trattamento con dosi basse e incrementandole gradualmente.
A differenza degli ansiolitici, gli antidepressivi non creano dipendenza. Gli antidepressivi devono essere assunti con regolarità e, in alcuni casi, è necessario aspettare alcune settimane, prima di ottenere benefici.
Inoltre, alcuni farmaci devono essere sospesi gradualmente, per dare modo all’organismo di adattarsi alla nuova condizione.
Gli antipsicotici
I farmaci antipsicotici, chiamati anche neurolettici o tranquillanti maggiori, sono usati per il trattamento della schizofrenia, delle fasi maniacali del disturbo bipolare, e di quei disturbi in cui sono presenti sintomi psicotici.
Gli antipsicotici sono capaci di migliorare sensibilmente la sintomatologia (allucinazioni e deliri) tipica della schizofrenia, ma provocano anche effetti collaterali, che di regola sono reversibili, cioè terminano con la sospensione del trattamento. Questi farmaci non creano dipendenza ma è di fondamentale importanza il controllo periodico.
Gli stabilizzanti dell’umore
Appartengono a questo gruppo i farmaci efficaci nel trattamento del disturbo bipolare.
Uno dei farmaci più potenti, appartenente a questa categoria, è il litio. Pur essendo un farmaco efficace, il litio presenta un inconveniente non trascurabile: può essere tossico se raggiunge determinati livelli nell’organismo.
Per questo motivo è necessario tenere sotto controllo periodicamente (di solito ogni 3-6 mesi) la sua concentrazione nel sangue.
Ma perché associare anche la psicoterapia ?
La farmacoterapia agisce sulla risoluzione dei sintomi psichici e neurovegetativi ma spesso le persone curate esclusivamente con gli psicofarmaci presentano solo un transitorio miglioramento dovendo poi intraprendere un nuovo ciclo di trattamento. Questo accade perché soprattutto nell’ ambito delle patologie ansioso-depressive gli psicofarmaci normalizzano il funzionamento dei neurotrasmettitori implicati in tali patologie ma non possono intervenire sulle cause. E’ quindi importante e necessario anche un percorso di psicoterapia che permetta di modificare il modo di vivere le relazioni intra e inter-personali e di sopportare le situazioni stressanti. In particolare la psicoterapia cognitivo comportamentale si basa sul presupposto che vi è una stretta relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti e che i problemi emotivi sono influenzati da ciò che pensiamo e facciamo nel presente. Le nostre reazioni emotive e comportamentali sono infatti determinate dal modo in cui interpretiamo le varie situazioni, quindi dal significato che diamo agli eventi. Ma a volte le convinzioni che abbiamo su noi stessi, sugli altri o sul mondo possono essere disfunzionali, cioè possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo rigido indipendentemente dai contesti, generare pensieri automatici negativi che producono sofferenza.
In conclusione si può affermare che i due trattamenti agiscono in sinergia nei disturbi psichici in quanto i farmaci, oltre ad agire sui sintomi, aumentano la riuscita del percorso psicoterapico migliorando funzioni come capacità verbali, cognitive, la memoria e la concentrazione.
Dott. Rossano Bisciglia