Psicologia, Psichiatria e Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale Centro di Schema Therapy EMDR e Mindfulness ad Arezzo

“Non lo butto”! Il Disturbo d’Accumulo Compulsivo

Mixed_archival_material

“La fantasia abbellisce gli oggetti cingendoli e quasi irraggiandoli d’immagini care. Nell’oggetto amiamo quel che vi mettiamo di noi”

Luigi Pirandello.

A cura della Dott.ssa Giovanna Mengoli

La maggior parte di noi ha accumulato negli anni degli oggetti a cui tiene particolarmente e che conserva gelosamente. Piccoli pezzi della memoria da cui è difficile separarsi, soprattutto per il loro valore affettivo e per la capacità di rievocare in noi determinate emozioni. La penna multicolore con cui scrivevamo alle scuole elementari, quaderni, diari, biglietti del cinema. Ogni oggetto è gelosamente custodito, alle volte riposto in delle “scatole del tempo” un po’ come faceva Warhol con le sue time capsule. Nate per caso, nel 1974, quando – in seguito a un trasloco – Warhol decise di mettere in grandi scatole da pacchi tutto ciò che aveva sparso per la casa: sulla scrivania, sul pavimento, negli armadi; biglietti di concerti, disegni, scarpe, articoli di giornale.

Da quell’anno Warhol non hai mai smesso di memorizzare tracce della sua vita nelle sue Time Capsule. Ha sempre tenuto una scatola accanto alla sua scrivania, per potervi buttare dentro e racchiudere le tracce del suo quotidiano. In tutta la sua vita, Warhol realizzò più di 600 Capsule del Tempo, dentro le quali oltre 500.000 oggetti furono immagazzinati per essere trasformati in indimenticabili frammenti di tempo.

Eppure a nessuno di noi sarebbe venuto in mente Andy Warhol pensando ad una persona che soffre di Disturbo di Accumulo (DA), piuttosto ci sarebbe balzato alla memoria una persona anziana, isolata, non particolarmente brillante e in condizioni economiche non agiate.

Probabilmente, i nostri ricordi sono condizionati da stereotipi derivanti da trasmissioni televisive quali l’americana “Sepolti in Casa”.

In realtà, il disturbo da accumulo è un disturbo molto più complesso dello stereotipo a cui siamo abituati, più diffuso di quanto si pensi e che non riguarda assolutamente solo persone “ai margini”, ma al contrario anche soggetti dotati di un’intelligenza brillante e non socialmente isolati.

I pazienti con DA hanno con gli oggetti che accumulano un rapporto non molto diverso da quello che la maggior parte degli individui ha con i propri oggetti personali. Chi di noi non ha qualche oggetto che ritiene significativo e importante, benché magari non abbia nessun valore reale se non “la sua storia”? Allora cosa distingue un soggetto affetto da disturbo da accumulo da, ad esempio, un semplice collezionista?Cosa è esattamente il Disturbo da Accumulo?

Ad oggi, il Disturbo da Accumulo, o disposofobia, è un disturbo poco studiato e con tanti aspetti da definire: sia dal punto di vista diagnostico,dove non c’è ancora un grande accordo tra gli esperti; sia dal punto di vista clinico dove molto c’è da chiarire e comprendere sul funzionamento e i meccanismi psicologici che determinano il disturbo.

Solo nel 2013, con la pubblicazione del manuale diagnostico DSM-V, la bibbia di psichiatri e psicologi per la diagnosi, gli viene finalmente riconosciuto lo status di disturbo autonomo, con il nome di HoardingDisorder, inserito tra i disturbi “correlati” al Disturbo Ossessivo – Compulsivo.

Tre innanzitutto sono i segnali di base per distinguere tale disturbo:

1.      La persona colleziona e conserva un gran numero di articoli persino cose che appaiono inutili o di scarso valore per la maggioranza delle persone e possono spaziare dalla collezione di oggetti di valore, all’accumulo di spazzatura, fino all’accumulo di animali. Molto frequente è l’accumulo di libri e giornali o, comunque, di materiali che contengono informazioni e possono aumentare le conoscenze.

2.      Queste cose ingombrano spazi vitali e impediscono alla persona di usare le stanze così come aveva progettato.

3.      Questi oggetti causano difficoltà o problemi nelle attività quotidiane.

Non è collezionismo: Nell’accumulo compulsivo, infatti, le persone raramente cercano di mostrare le loro cose che sono tenute di solito in disordine, mentre nel collezionismo le persone di solito mostrano con orgoglio le loro collezioni che sono tenute in modo ordinato e organizzato.

Anche la severità può naturalmente variare molto: si va da persone che hanno la casa completamente invasa da oggetti a persone che, anche grazie a maggiori possibilità economiche, possono affittare magazzini in cui riporre gli oggetti. Infine, semplicemente situazioni di minore gravità in cui, per esempio, l’accumulo riguarda selettivamente solo alcuni oggetti.

Per quanto riguarda la diffusione, si stima che tra il 2 e il 5% della popolazione presenti un problema di accumulo che gli causa disagio e/o problemi che interferiscono con il normale svolgimento della propria vita. In realtà, è probabile che si tratti di un fenomeno sottostimato visto che raramente chi accumula chiede aiuto e riconosce il disturbo vivendo il problema in una dimensione di segretezza.

Quali sono le motivazioni dell’accumulo nel DA?

Visto dall’esterno, il comportamento del paziente con DA appare completamente incomprensibile: si tratta di individui che rovinano la loro vita, spesso la propria situazione economica, quasi inevitabilmente le relazioni con i propri cari  per raccogliere, conservare, ammassare oggetti di solito inutili, di nessun valore e con i quali dichiarano, nella maggior parte dei casi, di non avere nessun legame particolare

Tuttavia, in senso evolutivo, in effetti, l’accumulo è un comportamento funzionale alla sopravvivenza: si mette da parte per tempi di magra, si è previdenti. Il problema è che gli accumulatori patologici perdono completamente di vista il rapporto costi – benefici: per esempio, si rende inutilizzabile parte della casa, per conservare una grande quantità di oggetti tra i quali c’è, forse qualcosa che potrebbe essere utile o di valore.

Allora viene da chiedersi: Come mai si arriva a tanto? Come mai si perde completamente di vista il rapporto costi-benefici del conservare o acquisire un oggetto?

Osservando un soggetto affetto da DA si ha l’impressione che abbia un problema nel processo di elaborazione delle informazioni: decidere quali oggetti tenere o buttare e come organizzarli implica capacità di categorizzazione, di memorizzazione e una certa quantità di attenzione, oltre che fiducia in queste capacità. Questa è l’ipotesi che fanno alcuni studiosi come spiegazione del disturbo.

In effetti, gli accumulatori provano a buttare o organizzare gli oggetti, ma non risultano capaci spendendo, spesso,  gran parte della giornata in questo, per cui l’opera di selezione finale spesso si risolve in un semplice spostamento di oggetti, in nuovi mucchi.

Una cosa interessante è che in realtà le stesse capacità sono integre nelle persone con DA quando devono organizzare oggetti non propri.

Un altro elemento interessante è quello messo in luce da Frost e Steketeenel loro interessante libro “Tengo tutto” (Ed. Erikson, 2013), in cui evidenziano che gli oggetti per la persona con DA rappresentano potenzialmente un’opportunità, ovvero sono oggetti “non si sa mai” potrebbero in un lontano futuro servire, potrebbero acquistare valore.

Inoltre, gli accumulatori, spesso, attribuiscono agli oggetti una sorta di valore magico. In alcuni casi, il rapporto è quasi “feticista”, non molto diversamente da quanto accade per le persone che sono disposte a spendere cifre impressionanti per acquistare nelle aste oggetti inutili appartenuti a personaggi come Marilyn Monroe o Jimi Hendrix.

È un disturbo che si cura?

Esistono sia trattamenti farmacologici che psicologici per la cura del disturbo da accumulo, anche se gli studi di efficacia sono minori che per i disturbi più studiati, come altri disturbi d’ansia o dell’umore per esempio.

Tra l’altro molto spesso le persone con accumulo hanno una consapevolezza molto bassa del disturbo o se ne vergognano per cui chiedono poco o rifiutano apertamente il trattamento.

Tra i trattamenti applicati in questo tipo di disturbo e per i quali esistono dati di efficacia c’è la terapia comportamentale basata sull’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP): consiste in sostanza nel far buttare velocemente una certa parte degli oggetti, bloccando controlli sugli stessi.

La terapia più usata, però, è quella cognitivo – comportamentale che coniuga l’ERP con altre componenti della terapia cognitiva.

Le componenti centrali di questo trattamento sono:interventi focalizzati sulla motivazione al trattamento; addestramento a capacità come la presa di decisioni o la risoluzione di problemi,con lo scopo di addestrare i pazienti ad imparare a sopportare sempre di più  la  sgradevole sensazione di “buttare via qualcosa di importante”.

É stato visto sulla base di alcuni studi di efficacia, condotti daTolin et al. (2008),  che circa il 70% dei pazienti che si sottopone al trattamento presenta un miglioramento sintomatologico.

Richiesta Informazioni

Nome (richiesto)

E-mail (richiesto)

Oggetto

Messaggio

Acconsento al trattamento dei miei dati personali sulla base della Privacy Policy

WhatsApp chat