“Il cibo, fin dalla nascita, è strettamente mescolato all’esperienza di rapporti interindividuali ed emotivi, e non è possibile distinguere rigorosamente tra i suoi aspetti fisiologici e psicologici. Anche per le persone normali il cibo non si limita mai ai soli aspetti biologici. Non esiste società umana che tratti il cibo razionalmente in rapporto all’ambiente, in cui cioè si mangi unicamente in base alla disponibilità, alla commestibilità e al valore nutritivo degli alimenti…”.
Hilde Bruch
DEFINIZIONE
La Classificazione diagnostica 0-3 descrive il disturbo di alimentazione (Feeding Disorder, FD) che può manifestarsi in momenti diversi dell’infanzia, come la difficoltà del bambino a stabilire patterns regolari di alimentazione con un’adeguata immissione di cibo e a regolare la propria alimentazione con gli stati fisiologici di fame e sazietà (Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and Early Childhood – Revised Zero to Three, National Center for Clinical Infant Programs, 1994).
Oggi, il FD viene definito come un disturbo di relazione (Chatoor, Ganiban, Colin, Plummer, e Harmon, 1998; Goodlin-Jones & Ande, 2001). Le difficoltà che la diade caregiver-bambino incontrano al momento del pasto possono essere dovute a vari fattori, come la mancanza di una buona intesa tra genitore e bambino, le difficoltà dei genitori nel sostenere lo sviluppo dell’autonomia del bambino attraverso la regolamentazione dell’assunzione di cibo, l’eccessivo controllo da parte dei genitori, la carente conoscenza delle dinamiche alimentari, il temperamento impegnativo del bambino che può opporsi a mangiare la quantità di cibo attesa dai genitori (Davis, Levitan, Smith, Tweed, e Curtis, 2006).
Studi recenti descrivono particolari caratteristiche di bambini con un disturbo della nutrizione per quanto riguarda l’assunzione di cibo e il comportamento alimentare: nei primi anni di vita i bambini con difficoltà di crescita presentano un’assunzione di cibo significativamente inferiore rispetto ai bambini della stessa età che non presentano tale sintomatologia, sebbene le madri tendano ad alimentarli allo stesso modo, o anche maggiormente ,rifiutano il cibo in misura maggiore, sembrano presentare risposte anomale ai bisogni di fame e sazietà, manifestano minori richieste di essere alimentati e maggiori difficoltà a regolare e stabilizzare i loro ritmi alimentari rispetto ai bambini non affetti da tale disturbo.
In setting clinici si osservano i seguenti disturbi dell’alimentazione:
Sviluppo ritardato o assente delle capacità di alimentazione;
Difficoltà di gestione o a tollerare i liquidi o generi alimentari;
Riluttanza o rifiuto di mangiare in base a gusto, consistenza e altri fattori sensoriali;
Mancanza di appetito o interesse per il cibo;
Utilizzo dei comportamenti alimentari come auto-conforto, calmante o stimolante.
EZIOLOGIA
L’esatta eziologia e i fattori di mantenimento dei disturbi alimentari in età evolutiva sono ancora poco chiari. Ciò è dovuto allo scarso numero di ricerche condotte in questo ambito. Disturbi dell’alimentazione e comportamento alimentare con manifestazioni cliniche simili possono avere diverse eziologie che richiedono necessariamente diversi interventi, da qui si può ben capire come il mancato, ritardato, o errato riconoscimento diagnostico, dovuto alla variabilità dei criteri diagnostici da un sistema all’altro, possa avere ripercussioni sul corretto trattamento del disturbo.
Il background medico del bambino, il temperamento, lo sviluppo, e le esperienze possono contribuire, causando disturbi del normale comportamento alimentare, individualmente e/o in modo combinato con fattori relativi ai genitori, alla famiglia e all’ambiente, che si inseriscono in un periodo caratterizzato da rapidi cambiamenti nello sviluppo biologico, affettivo e cognitivo del bambino.
Lask e Bryant-Waugh (2000) propongono un modello di sviluppo del Disturbo Alimentare Precoce nel quale fattori biologici, genetici, individuali, socioculturali, familiari e stressor agiscono in modo interconnesso.
COME SI MANIFESTANO
La definizione e la diagnosi di un disturbo alimentare nei bambini rimangono in molti casi problematiche. I criteri diagnostici sono in costante stato di revisione e i sistemi di classificazione che trattano l’argomento sono vari.
Proponiamo qui la classificazione concettualizzata da Irene Chatoor, una dei massimi esperti nel campo.
CRITERI DIAGNOSTICI PER ANORESSIA INFANTILE (6 mesi-3 anni):
1. Rifiuto di mangiare adeguate quantità di cibo per almeno un mese.
2. Insorgenza del rifiuto del cibo si verifica spesso durante il passaggio dall’alimentazione materna all’auto-alimentazione, tipicamente tra i 6 mesi ei 3 anni di età.
3. Non comunica la fame, manca di interesse per il cibo, ma mostra interesse per l’esplorazione e/o l’interazione tra i caregiver.
4. Mostra significativi segnali di rallentamento della crescita.
5. Il rifiuto del cibo non ha seguito un evento traumatico.
6. Il rifiuto del cibo non è dovuto ad una sottostante malattia medica.
CRITERI DIAGNOSTICI PER AVVERSIONE SENSORIALE AL CIBO (6 mesi-3 anni)
1. Rifiuto persistente di mangiare determinati alimenti con particolari gusti, consistenza, odori, temperatura e/o per come si presenta per almeno 1 mese.
2. Insorgenza del rifiuto del cibo durante l’introduzione di un diverso tipo di cibo (per esempio, può bere un tipo di latte ma rifiutarne un altro, può mangiare le carote ma rifiuta i fagiolini; può mangiare alimenti croccanti, ma rifiutare il cibo frullato).
3. Le reazioni avversive dei bambini possono variare da una smorfia a conati di vomito, vomito o sputare il cibo.
4. Dopo una reazione di avversione, i bambini di solito si rifiutano di continuare a mangiare quel cibo particolare e frequentemente generalizzano e rifiutano di mangiare altri cibi con aspetto, colore e odore simili.
5. Sono riluttanti a mangiare nuovi cibi ma mangiano volentieri i loro cibi preferiti.
6. Senza integrazioni, mostrano specifiche carenze nutrizionali (per esempio, proteine, vitamine, zinco, ferro), ma generalmente non mostrano ritardi nella crescita e possono essere sovrappeso.
7. Devono avere specifiche carenze nello sviluppo orale-motorio e nel linguaggio parlato.
8. Durante i primi anni di scuola possono mostrare ansia a scuola riguardo ai cibi ed evitano situazioni sociali che comportano il mangiare.
9. Possono avere altre difficoltà sensoriali (tatto, udito, vista).
10. Il rifiuto non è correlato ad allergie alimentari o ad altre condizioni mediche.
CRITERI DIAGNOSTICI DEL DISTURBO DI ALIMENTAZIONE POST-TRAUMATICO
1. Caratterizzato da un esordio acuto di un consistente rifiuto del cibo.
2. Il rifiuto del cibo segue un evento traumatico o ripetuti episodi traumatici all’orofaringe o tratto gastrointestinale (per esempio, soffocamento, vomito, inserimento di tubi nasogastrico o endotracheale, aspirazione) che attivano disagio intenso nel bambino.
3. Il rifiuto costante di mangiare si manifesta in uno dei seguenti modi:
rifiuta di bere dal biberon, ma può accettare il cibo offerto al cucchiaio (anche se rifiuta sempre di bere dal biberon quando sveglio vi può bere quando ha sonno o addormentato), o
rifiuta il cibo solido, ma accetta il biberon, o
rifiuta tutta l’alimentazione orale.
4. Il ricordo dell’evento traumatico causa disagio, come manifestato da uno o più dei seguenti elementi:
può mostrare angoscia anticipatoria quando preparato per l’alimentazione;
mostra intensa resistenza quando ci si avvicina con il biberon o il cibo, e/o
mostra intensa resistenza a deglutire il cibo che ha nella bocca.
5. Il rifiuto del cibo rappresenta una minaccia acuta o a lungo termine alla nutrizione del bambino, alla salute, alla crescita.
TRATTAMENTO
Diagnosi e trattamento dei disturbi alimentari dell’infanzia richiedono necessariamente un team interdisciplinare di professionisti: nutrizionista, gastroenterologo, psicologo, neuropsichiatra infantile, pediatra, terapista professionale del linguaggio, al fine di una globale valutazione del bambino.
Trattamenti e interventi basati sulle teorie di condizionamento operante (terapia cognitivo-comportamentale) sono stati segnalati per essere efficaci nella gestione dei disturbi di alimentazione (Benoit et al., 2000; Byars et al., 2003; Irwin et al., 2003;. Kerwin, 1999; Linscheid, 2006; Piazza, 2008; Piazza e Carroll- Hernandez, 2004; Williams et al., 2007). I bambini che hanno serie difficoltà a mangiare possono, quindi, beneficiare di programmi di modifica del comportamento. Questi interventi puntano ad aumentare la frequenza di comportamenti adattivi e diminuire la frequenza dei comportamenti disadattivi (ad esempio spingere via il cibo).
Il trattamento prevede, inoltre, una fase di psicoeducazione per i genitori, nella quale vengono insegnate strategie di gestione del momento del pasto, da un punto di vista pratico.
Fondamentale importanza ha la gestione della relazione genitore-bambino durante il pasto e non; questa viene monitorata nell’ambiente quotidiano, e se necessario sostenuta e modificata sotto la supervisione del clinico.